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Sofia culinaria egizia di Maria Stella Mazzanti 13 June 2006

Posted by seshatblog in Ricerche e Studi.
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SOFIA CULINARIA EGIZIA  alla mensa dei faraoni   © (Diritti riservati Seshat International 2005)

INTRODUZIONE

L’Egitto, culla della civiltà, terra degli dei, scrigno di misteri e tesori, lontano eppur vicino non smette di esercitare il proprio fascino. Le ragioni sono molteplici: sicuramente al primo posto si deve porre la quantità inesauribile di reperti che emergono con regolarità dalle sabbie e che lasciano stupiti noi, uomini proiettati verso il futuro, obbligandoci a riflettere sulla nostra effimera cultura, caratterizzata a volte da un consumismo irrazionale e mai paga del superfluo. Umili oggetti in legno intagliato, ciotole di pietra magistralmente scolpite, ceste di giungo con decorazioni geometriche, stuoie e tessuti ci impressionano  per l’amore con cui furono prodotte da mani di abili artigiani, tanto quanto le superbe statue litiche, i sarcofagi  e le maschere auree, gli sfarzosi corredi. Tutto ciò  ci induce  a riflettere e sovente ci assale il dubbio che ben poche cose siano state inventate nel nostro tempo, semmai le abbiamo migliorate e rese disponibili in gran quantità. Se tale terra suscita entusiasmo collettivo non credo di  esagerare dicendo che, per chi svolge la professione di archeologo lungo le sacre sponde del Nilo, la necessità di comprendere e analizzare a fondo la sua civiltà diventa una dolce ossessione, un lavoro che non ha mai fine e per cui si trovano risorse inesauribili. Talvolta accade che siamo talmente presi dalle nostre ricerche che discernere passato e presente risulta difficile, così può capitare che si tenti di attualizzare un “capriccio antico” come un particolare dell’abbigliamento, un dettaglio di ebanisteria, un’acconciatura, il trucco e perché no, anche tentare di gustare antichi sapori. Molti anni or sono, proprio a Roma, dopo lunghe confabulazioni con una mia collega romana, Katia di Marco, nello studio di una mia docente, la Prof. Luisa Bongrani, è nata l’idea, mai realizzata prima, di sperimentare l’antica cucina egizia. Nacque dunque un progetto denominato “Alla mensa dei faraoni”, non si trattava di scimmiottare la cucina araba, ma basandosi su testimonianze iconografiche e testuali avevamo composto un menù dal sapore vagamente esotico in cui le vibrazioni delle spezie evocavano tempi lontani.  Oggi desidero riproporre le mie ricerche in merito regalando un assaggio della mensa  degli antichi e accompagnando l’evento con un piccolo  documento cartaceo di archeocucinaMaria Stella Mazzanti

1)Equilibrio di sapori  (M.S.Mazzanti)

L’antico Egitto fornisce una vasta documentazione archeologica, scritta e figurativa, che testimonia l’esistenza di una grande varietà di cibi. Le pitture parietali e i rilievi narrano con incredibile precisione pasti inusuali come quelli funerari, e banchetti organizzati in occasione di festività.  Non è detto che costituiscano la prova certa di come si componesse un pasto giornaliero, come dire che noi non ci nutriamo tutti i giorni di lasagne al forno o brasato al barolo,  ma possono  restituire l’idea del tipo di cibo consumato. Sicuramente attendibile è l’uso quotidiano  di gran quantità di ortaggi, come  cucurbitacee e lattuga che fanno bella mostra di sé sulle tavole faraoniche. Ad aiutarci nell’identificazione dei prodotti inoltre esistono i lunghi elenchi di derrate che  tendono a precisare le quantità, ma non evidenziano le differenze qualitative dei vari alimenti. Scarse sono invece le indicazioni relative alla trasformazione di prodotti primari, come ad esempio zuppe, pani, dolci, bevande che ricaviamo da alcuni papiri o ostraka. Non esistevano dei veri e propri ricettari, ma di tanto intanto si trovano indicazioni interessanti anche nei testi medici. La ricchezza dei prodotti agricoli era indescrivibile, a questi si aggiungeva in  gran abbondanza pesce, carne costituita prevalentemente da selvaggina, sebbene non mancasse  la carne bovina e ovina. Frutta, e pani di diverso tipo con zuppe di farro ed orzo componevano una tra le alimentazioni più equilibrate dell’antichità. La varietà e la gran quantità di derrate costituivano la base per una dieta sana ed equilibrata che si potrebbe definire di tipo mediterraneo. Ciò aveva una ripercussione benefica sulla salute dei propri abitanti che vantavano una durata media della vita eccezionalmente lunga, si calcola ad esempio che Ramesse II sia deceduto ultraottantenne. Non cadiamo nelle fallaci e semplicistiche affermazioni che deviano dal reale secondo cui ciò non era la regola e che solo il sovrano si cibava di carne. I recentissimi ritrovamenti nell’area di Giza del Prof. Zahi Hawass e Prof Mark Lehner hanno dimostrato che i costruttori delle piramidi, insediati nell’agglomerato urbano ai piedi del plateau di Giza, si cibavano regolarmente con carne bovina e pesce accompagnandoli con zuppe, pane, verdure e birra. Ciò è emerso con chiarezza dalle ossa animali e lische di pesce rinvenute nell’area delle cucine. Sempre in tali scavi è emerso una volta per tutte che l’idea biblica dello schiavo deve essere abbandonata, e ci auguriamo per sempre!  

2) I cereali: farina, pani, focacce e dolci (M.S.Mazzanti)

Lo sviluppo della cerealicoltura nell’Antico Egitto fu direttamente proporzionate allo sviluppo dell’irrigazione. La forma più antica di irrigazione, nota fin dal periodo predinastico, consisteva nell’attendere l’inondazione annuale del Nilo, in pratica le coltivazioni si estendevano in questo modo solo sulla fascia di terra raggiungibile dalle acque del fiume. Già alla fine dell’epoca predinastica cominciarono i primi tentativi d’irrigazione controllata tramite la creazione di bacini irrigui e canali nei quali era convogliata l’acqua nel corso di tutto l’anno. La realizzazione di tale sistema irriguo dimostrò fin dall’inizio di essere troppo onerosa se perseguita da singoli o da piccole comunità agricole. Essa infatti comportava l’impiego di notevoli forze-lavoro che solo un organismo complesso, potente e ramificato come la struttura statale poteva attuare. Non a caso ogni qual volta si verificava una crisi dell’autorità palatina l’efficienza del sistema irriguo ne risentiva, con effetti nefasti sulla produzione agricola. II fattore che condizionava il raccolto era costituito soprattutto dal livello dell’acqua dell’inondazione. Se l’inondazione era troppo scarsa la quantità di  terreno coltivabile si riduceva drasticamente provocando spaventose carestie tramandate da numerosi documenti. L’abbondanza del raccolto era dunque determinata da un fenomeno naturale e costante quale era appunto lo straripamento del fiume, un evento divino e straordinario. I cereali coltivati erano sostanzialmente tre: il farro (triticum dicoccum), un tipo di grano a cariosside vestita, rachide fragile e glumelle aderenti alla cariosside; un tipo più raffinato di frumento da identificarsi probabilmente con il triticum aestivum; ed infine l’orzo (hordeum sativum vulgare), con spighe a rachide fragile, provvisto di sei file di cariossidi. L’impiego più comune della farina, ottenuta da questi cereali, era per la preparazione del pane. I testi ci tramandano un’infinità di nomi diversi e la documentazione figurativa testimonia l’esistenza di moltissime forme diverse di pane: conica, semicircolare, circolare, ovoidale, triangolare e a ciambella. Durante il Nuovo Regno si usavano forme zoomorfe e antropomorfe per i pani-giocattolo destinati ai bambini, tali forme in realtà potrebbero aver avuto all’interno dei corredi funerari funzione ben diversa, cioè di  simbolo o segno grafico. Le tecniche della panificazione sono invece ben note  che erano svolte per fasi: si macinavano i  cereali ,e la farina così ottenuta era impastata con acqua, a mano su lastre in pietra, o con i piedi in grandi giare se si trattava di grossi quantitativi. La lievitazione consisteva nell’aggiungere all’impasto residui di pasta inacidita del giorno precedente. I sistemi di cottura erano molteplici e variavano nel corso del tempo, a seconda dei luoghi e degli ambienti. Il più semplice prevedeva la cottura diretta sulle ceneri ardenti o su lastre litiche poste sulla fiamma. Dall’Antico Regno si diffuse l’uso della cottura in forme preriscaldate provviste di coperchio. Nel Nuovo Regno la cottura avveniva prevalentemente in forni cilindrici. Per la preparazione di dolci si aggiungevano alla pasta di pane ingredienti vari tra i quali il miele, i datteri, le carrube e l’uva passa. La cottura variava a seconda dei dolci: alcuni venivano cotti in forme, altri, come i dolci a spirale raffigurati nella tomba di Ramesse III a Tebe, erano fritti in larghe padelle colme d’olio. Oltre che per Ia preparazione di pane e dolci, i cereali servivano anche per Ia composizione di zuppe, ben illustrate nelle tombe di Saqqara. Va infine ricordato l’uso di cereali fermentati per la preparazione della birra, che era indubbiamente la bevanda più comune ed apprezzata nell’antico Egitto. Numerose immagini nelle tombe ci permettono di individuare varie fasi della sua fabbricazione e sottolineano in particolare lo stretto rapporto che la collegava alla preparazione del pane. Comune ad entrambe era infatti il procedimento iniziale di lavorazione, dall’uso di farina derivata dagli stessi cereali , ai modi d’impasto e di cottura. Si procedeva per prima cosa alla preparazione dei cosiddetti “pani da birra” che  dovevano rimanere crudi all’interno per favorire la successiva fermentazione. Dopo la cottura i pani venivano sbriciolati, ribagnati e rimpastati con l’aggiunta di estratto di datteri, e lasciati fermentare. L’impasto era infine filtrato e il liquido ottenuto travasato in grosse giare sigillate poi con tappi di terracotta. Varianti  esistevano in relazione ai luoghi d’origine che davano vita a prodotti diversi per qualità, per tasso alcolico e per sapore.

3) Vino, nettare prelibato (M.S.Mazzanti)

Contrariamente a quanto si può immaginare, se prendiamo come riferimento i nostri giorni, la coltivazione della vite era molto diffusa in Egitto,  dove era attestata almeno dal periodo Protodinastico (3000-2660 a.C.). I succosi grappoli d’uva si gustavano come frutta, oppure si spremevano per produrre il vino. Le prime giare vinarie di cui si sono trovati i resti, risalgono alla I dinastia. Scene di vendemmia, dove si osserva il serpeggiare della vite, carica di frutti, sono presenti nelle tombe e testimoniano, inoltre l’uso di una tecnica di vinificazione molto simile a quella utilizzata artigianalmente fino ai nostri giorni. Essa prevedeva la raccolta e la pigiatura dell’uva in larghi bacini, la spremitura del residuo in appositi sacchi torti per mezzo di pertiche infilate all’estremità, e la fermentazione del succo in anfore lasciate aperte fino al completo esaurimento del processo. Circa l’esistenza di qualità diverse di uva e di vini non vi sono documentazioni precise: qualche testimonianza linguistica sembrerebbe far riferimento piuttosto a tipi di uva scura particolarmente apprezzate quelle del Delta e delle oasi occidentali. Altre bevande alcoliche erano ottenute dalla fermentazione di frutti e bacche ricchi di sostanze zuccherine, tra cui il melograno e i datteri. La più nota e diffusa a Tebe nel Nuovo Regno era la shedeh altamente inebriante preparata con succo fermentato di dattero.

4) Latte (M.S.Mazzanti)

Una società come quella egizia dove i ritmi lenti della vita scandivano la quotidianità comprese immediatamente l’importanza del latte, partendo  proprio da quello materno le cui virtù sono menzionate in testi medici del Nuovo Regno. Il latte era apprezzato e consumato quotidianamente, ed altrettanto noti erano i suoi derivati come il burro, usato per condire le verdure o insaporire le zuppe, e i formaggi di cui sono trovati resti tra le offerte funerarie, infatti erano conservati in vasi di alabastro, i più antichi risalenti addirittura alla I dinastia. I testi documentano  non solo l’uso di latte di mucca, ma anche quelli di capra, di pecora e d’asina con cui si preparavano delle specie di polentine, si mescolavano all’impasto per i dolci e si producevano dei formaggi che oggi definiremo “light”, tipo tomini  o ricotta.

5) I prodotti dell’orto: frutta e verdura (M.S.Mazzanti)

Ammaliano per la precisione tecnica, il rigore e il colore le rappresentazioni egizie di piccoli appezzamenti di terreno con la produzione ortofrutticola. Paiono quasi tavole botaniche in cui con estrema facilità si riconosce una cucurbitacea da leguminose, che dire poi dei cespi di lattuga? Le scene presenti nelle tombe mostrano letti ben divisi, curati e abbondantemente irrigati. Le verdure comprendevano leguminose (ceci, fave, lenticchie e piselli), gigliacee (aglio, porri e cipolle), cucurbitacee (cetrioli, zucche e meloni), crucifere (cavolo e rafano) e alcune ombrellifere (coniandolo e cumino). Non mancava mai in un orto ben curato la rappresentazione della diffusissima lattuga consumata non solo quotidianamente, ma che fa bella mostra di sé anche sulle tavole d’offerta funerarie sfoggiando un brillante colore verde. Le sue dimensioni erano ragguardevoli e i testi medici la raccomandavano attribuendole qualità afrodisiache. Le verdure erano consumate crude o cotte, bollite o stufate da sole o mescolate ad altri alimenti, creando dei piatti unici di alto apporto vitaminico e di fibre. Nel periodo estivo vi era abbondanza di datteri, uva e fichi prodotti dal fico comune e dal fico sicomoro. Poco prima del  Nuovo Regno si importarono i meli ed i melograni, divenendo assai comuni in tutto il paese. Tra la frutta selvatica erano apprezzate le bacche del giuggiolo, chiamate nabek, molto simili alle ciliegie. L’olivo fu introdotto dall’area vicino-orientale e la sua coltura si estese addirittura fin  nella Tebaide e nel Fayyum, fu largamente usato in farmacologia, cosmesi ed ovviamente in cucina, dove si impiegavano invero anche altri olii come il bak estratto dalla noce della moringa (Moringa oleifera. Albero tropicale con foglie pennate, fiori rossi o bianchi e frutti a baccello, da cui si estrae l’olio), vi era poi l’olio di sesamo, e quelli estratti dai semi di lattuga e di lino.

6) Un dono prezioso: il miele (M.S.Mazzanti)

Ape, simbolo del potere regio. Le piccole api stilizzate dei raffinati monili egizi, deliziose miniature multicolori di questa minuscola creatura si affacciano dalle pitture e ci restituiscono il sapore di una civiltà rurale dedita a seguire con rigore le regole della natura. Sarà stata forse l’attenta osservazione dell’operosa attività attorno all’alveare, ben ordinato gerarchicamente, ad ispirare i codificatori della lingua affinché proprio il disegno di un‘ape fosse una componente per esprimere  il vocabolo designante il re (nisut bity). L’apicoltura, fu una tra  le industrie minori più fiorenti dell’economia egizia, da essa provenivano gli stessi prodotti a noi noti ed usati in  ebanisteria, farmacologia (propoli, cera) o in cucina. Il miele era particolarmente apprezzato e ricercato in Egitto, come all’estero, sia per l’alimentazione, sia per la preparazione di farmaci e profumi e creme lenitive. Il suo alto valore nutritivo e le sue qualità dolcificanti ne consigliavano l’uso come alimento puro o come componente essenziale in pasticceria. Proprio per far fronte ad una domanda crescente si passò ben presto dalla raccolta del miele selvatico all’apicoltura. I testi , sempre puntualmente, annotano con minuzia differenti qualità di miele  diversi per colore “rosso” e  “chiaro” o per purezza.

7) Le carni e i pesci (M.S.Mazzanti)

Gli egizi traevano nutrimento, oltre che dai prodotti della terra, dalla carne di animali e pesci. Anzi la caccia e la pesca furono inizialmente le più importanti forme di procacciamento di cibo, sin dall’epoca delle origini. Con l’affermarsi poi di una coltura agraria l’attività venatoria, per lo meno nei suoi aspetti più spettacolari e pericolosi, come ad esempio la caccia nel deserto di cervidi, felini e tori selvatici, perse il suo significato originario, per assumere piuttosto i caratteri propri di una pratica sportiva e ricreativa d’élite. Continuò invece ad essere praticata la caccia di animali di piccole taglie e in particolare l’uccellagione volta alla cattura di uccelli (piccioni, gru, oche, anatre e uccelli acquatici) destinati prevalentemente all’allevamento. Rinchiusi in appositi recinti i volatili erano nutriti fino a raggiungere peso e dimensioni ottimali. Numerose scene illustrano i preparativi che precedevano la scelta di volatili come offerta funeraria o come cibo per i vivi. Dopo essere stati spennati, puliti, privati di testa, zampe ed estremità delle ali, gli uccelli erano infilzati su lunghi spiedi e arrostiti sopra un braciere. Oltre a questo tipo di cottura, la carne poteva essere essiccata o salata, secondo un procedimento analogo a quello usato per la preservazione del pesce. Assai importante ai fini alimentari fu l’allevamento di bovini e capridi. L’estendersi delle coltivazioni permise lo sviluppo della zootecnica provvedendo a garantire foraggio sufficiente per il bestiame. Anche se in misura minore l’allevamento era pure praticato in zone semidesertiche adatte al pascolo, come gli uadi e nelle oasi ed aree paludose del Delta. Il più grosso bovide era il cosiddetto bue iua che apparteneva ad una razza piuttosto bassa e tarchiata, caratterizzata da corna corte e ventre prominente e che aveva la capacità di ingrassare facilmente. La macellazione dell’animale seguiva uno schema fisso, rimasto invariato nel corso dei secoli: dopo la sgozzatura si procedeva al taglio della zampa anteriore. Va infine ricordato che stando alla documentazione scritta e figurativa pervenutaci tutte le attività volte at procacciamento del cibo erano espletate quasi completamente da personale maschile. Alle donne, invece, spettava il compito di cucinare, nel caso particolare della carne questa era prevalentemente lessata e consumata così accompagnandola a verdure e legumi, oppure il lesso era utilizzato come base per la preparazione di pasticci o di polpette. Il pasticcio è sopravvissuto nella tradizione contadina moderna  e si compone di sottili sfoglie di pane alternati a strati di verdura e carne stufata , la preparazione disposta in rigorose teglie di terracotta, spolverata di cumino è infornata per oltre un’ora a temperatura media, difficile gustarlo nei locali turistici , è un piatto preparato esclusivamente nelle campagne ed è semplicemente delizioso. La carne poteva inoltre essere cotta come un arrosto, mentre arrostiti allo spiedo erano invece quasi sempre i vari tipi di volatili, fatta eccezione per le oche ed anitre che si prestavano a preparazioni più elaborate. Come la caccia, anche la pesca era attivamente praticata in un  paese  che gravitava lungo le sponde del fiume più lungo del mondo: il Nilo che ogni anno inondando la valle trasformava  il paese in un enorme acquitrino ricco di materiale organico, fantastico alimento per i pesci  che si moltiplicavano abbondantemente. Si pescava facendo uso di arpione o di lenza, oppure con la rete Fin dalla preistoria la pesca fu per gli Egiziani una delle fonti primarie di sussistenza, testimoniata dai ritrovamenti di fiocine e di ami in osso o conchiglia in insediamenti datati  prima del 10.000 a.C. In epoca storica, quando nacque un organismo di tipo statale,  la pesca fu organizzata  a livello industriale: il pesce infatti veniva pescato, essiccato e confezionato e in seguito distribuito su tutto il territorio dell’Egitto e costituiva una delle basi dell’alimentazione per buona parte della fascia di ceto medio della popolazione: infatti regole sacre vietavano il consumo di carne e di pesce al sovrano a ai sacerdoti. I persici del Nilo erano cosi grandi che si usava la fiocina, stando in piedi sulla barca.

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